Riparto spese condominiali
Il riparto delle spese condominiali, in assenza di unanimità è quello proporzionale (fattispecie relativa alla divisione delle spese inerenti una piscina condominiale).
Per quanto concerne la disciplina della comunione o del condominio per la gestione della piscina, si evidenzia come in astratto sia possibile considerare beni come la piscina o gli spazi verdi in semplice comunione, in quanto tali beni, non espressamente inseriti nel novero dell’art. 1117 c.c., non palesano in modo evidente quelle intrinseche caratteristiche di funzionalità e strumentalità rispetto al godimento dei beni in proprietà esclusiva.
Conseguentemente, tali beni potrebbero essere oggetto di autonomo godimento ed assoggettati al regime della comunione in generale.
In concreto, però, tale ragionamento mal si concilia quando, in assenza di assemblee per le sole parti comuni non condominiali, senza una espressa previsione regolamentare inserita negli atti di acquisto originari, si presume la condominialità dei beni comuni, non essendo l’indicazione prevista dall’art. 1117 c.c. certo un numerus clausus.
Infatti, alla base del godimento della piscina vi è la qualifica di condòmini, ed è alla proprietà dell’unità immobiliare in condominio che è annesso il diritto di poter godere della piscina, giustificando così l’accessorietà e strumentalità del bene condominiale alle proprietà individuali.
La ragione del pagamento delle spese condominiali risiede nella qualità di condòmino.
È la misura delle spese che è stabilita dalla delibera, in ragione della natura delle obbligazioni condominiali che sono dette obbligazioni propter rem che nascono come conseguenza del condominio sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni.
Diversamente opinando, infatti, in tema di comunione, non essendo soggetta questa forma di comproprietà al vincolo di indivisibilità, allora ciascun comproprietario ne potrebbe chiedere lo scioglimento; salvo diritti di prelazione, ciascun comproprietario potrebbe cedere la sua quota, anche a soggetti estranei al condominio.
Addirittura, alla compravendita dell’appartamento, potrebbe non fare seguire quella della quota della piscina.
In buona sostanza, se il bene è in comunione, per quanto certamente pertinenziale rispetto al bene principale costituito dalle unità immobiliari private, esso potrebbe assurgere a bene autonomo e come tale circolare, generando, così, problemi di gestione ben maggiori di quelli in oggetto.
Infatti, in assenza di assemblee autonome per eventuali parti in comunione, si porrebbe anche il problema di far intervenire all’assemblea condominiale soggetti estranei al condominio.
Infine:
– qualora la piscina non fosse configurata come bene condominiale nel Regolamento di condominio ma la realizzazione della stessa risultasse essere avvenuta in un momento successivo,
– qualora il Regolamento condominiale dovesse inserire tra i beni comuni condominiali, da ripartirsi secondo i millesimi della tabella allegata, anche il giardino, anch’esso astrattamente oggetto di autonomo godimento e, soprattutto, gli impianti sportivi, rientrerebbe a pieno titolo anche la piscina condominiale.
Posta, dunque, la natura condominiale della piscina, l’applicazione dell’art. 1123 c.c. per la ripartizione delle spese di manutenzione della stessa, merita un approfondimento.
Ove il Condominio, volesse infatti giustificare il criterio di ripartizione delle spese per teste, in parti uguali, in luogo del criterio legale della ripartizione millesimale, sulla scorta di una Convenzione stipulata all’unanimità dai condòmini dell’epoca che avevano approvato tale diverso criterio, si evidenzia come tale modalità di ripartizione spese non possa essere opponibile al soggetto che ha acquistato successivamente in quanto non ha sottoscritto questa convenzione.
È pacifico, infatti che, la deroga al criterio legale riguardante il riparto delle spese condominiali può provenire solo dall’assemblea all’unanimità o dal regolamento contrattuale.
Il principio è stato ribadito nella sentenza della Suprema Corte n. 4844/2017.
Alla stregua della stessa lettera dell’art. 1123 c.c., si osserva che la disciplina legale della ripartizione delle spese condominiali per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio è, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che deve ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, ovvero nella deliberazione dell’assemblea, quando approvata da tutti i condomini (Cass 24/02/2017 n. 4844).
In tema di condominio negli edifici, ove manchi una diversa convenzione adottata all’unanimità, che sia espressione dell’autonomia contrattuale, il riparto delle spese condominiali deve, quindi, necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123, primo comma c.c., non essendo, consentito all’assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio “capitario” gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell’interesse comune (Cass. 04/08/2017 n. 19651; Cass. 04/12/2013 n. 27233).
Allo stesso modo, si evidenzia come non sia legale la modifica tacita del riparto delle spese, a meno che dalla condotta dei condòmini non si evinca, in modo assolutamente incontrove1tibile, la volontà di tutti i condòmini di modificare i criteri stabiliti dalla legge o dal regolamento contrattuale.
È vero che la prolungata applicazione di un certo criterio può assurgere a rango di norma a tutti gli effetti, ma ciò solamente se si evince la volontà consapevole dei condòmini di voler applicare un principio diverso da quello imposto dalla legge o dal regolamento vigente.
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